sabato 25 giugno 2011

Zacinto. La spiaggia del relitto e lo sbarco dei dannati.


Dedichiamo a Cefalonia un solo bagno sulla costa sud e poi voliamo giù (letteralmente, con un bel ventone al traverso) verso Zacinto, l’isola più meridionale delle Ionie. Abbiamo seminato i charteristi, ne eravamo sicuri,  gravitano tra Corfù e Itaca, più in là non vanno, di solito la vacanza è troppo breve. 
Zacinto è disseminata di grotte a picco sul mare, sulla più famosa, la Blue Cave, a nord est dell’isola, hanno messo un grande cartello con freccia, visibile da oltre 1 miglio con scritto “Have a look inside!”. Dicono non abbia nulla da invidiare alla grotta azzurra di Capri, non possiamo testimoniarlo, non ci siamo entrati, visto che il mare è mosso ed è impossibile ancorarsi su quelle profondità. In più, entrare in una grotta con un cartello sopra che invita ad visitarla non rientra nelle nostre attività preferite. Scorriamo il lato ovest dell’isola, quello esposto al vento dominante, selvaggio e aspro. Bellissimo. Arriviamo prima delle 8 di mattina alla  spiaggia del relitto, praticamente l’immagine simbolo della Grecia, quella che si trova sulle copertine di tutti i depliant e  delle guide turistiche, in tempo in tempo per trovarla deserta e l’immagine è davvero suggestiva. Sembra che quel relitto sia stato portato lì appositamente, tanto ci sta bene su quella spiaggia. Le alte rocce intorno che tengono in ombra la spiaggia, l’acqua azzurra, il rosso ruggine del relitto fanno di questo posto in questo momento uno spettacolo spettrale. Il tempo di scendere a terra, fare un po’ di foto, girarci intorno ed ecco che comincia lo sbarco dei dannati. Liberi dai Charteristi, siamo nell’area dell’escursione giornaliera con pranzo a bordo. 
Decidiamo di goderci lo spettacolo per la prima ora,  con un certo cinismo e apprezzando l’idea di essere liberi di andarcene, ma anche con la voglia di studiare il fenomeno e di capirne un po’ di più. I primi ad arrivare sono evidentemente le escursioni un po’ più chic, piccoli motoscafi con al massimo 6/8 persone a bordo, probabilmente gruppetti portati lì da un servizio taxi dell’albergo. 
Mano mano che i minuti passano, arrivano le barche più grandi e i passeggeri diventano 30, 40, anche 100 per barcone. La barca suona la tromba e arriva fin sulla spiaggia, il freno è semplicemente la carena che tocca il fondo. Una scaletta più o meno rudimentale calata a prua ed ecco i dannati in fila pronti a sbarcare. E con loro, ciambelle, borse frigo, macchine fotografiche asciugamani etc. Gli viene dato più o meno mezz’ora o un’ora di tempo e poi, via, pronti a reimbarcarsi al colpo di tromba che si continua il giro dell’isola. 
Giovanni, impietoso, fotografa lo scempio umano, soffermandosi sulle prove di agilità dei dannati. Io mi concentro sul tentare di indovinare quale dei bagnanti sarà inesorabilmente investito dal prossimo barcone. Ma soprattutto mi chiedo perché tutti si dirigano verso il fazzoletto di spiaggia al sole, lasciando deserta quella in ombra, quando è chiaro che entro poco di ombra non ce ne sarà più e sarà rimpianta amaramente.  
 Nel giro di mezz’ora, il relitto è assaltato da orde di umani colorati, due ragazze per l’occasione sono arrivate in spiaggia vestite da pirati (spero sia un lavoro ben retribuito…), la spiaggia conta ormai più di mille persone.  Le barche ogni minuto che passa, crescono di dimensione e di densità di popolazione a bordo, quando vediamo arrivare un vero e proprio traghetto, capiamo che è arrivato il momento di abbandonare lo spettacolo. Inutile dire che due baie più in là, non c’è nessuno e si sta benissimo, ci sono le grotte, c’è l’acqua azzurra, manca solo il relitto. Speriamo non venga ai greci l’idea di metterne uno anche qui per incrementare il business.
Proseguiamo il giro con l’obiettivo di ancorarci per la notte nel grande golfo di Laganà, a sud dell’Isola. 
Ahimé, è parco naturale e noi nutriamo una profonda avversione verso le zone adibite a parco marino. Basta guardare come hanno trasformato l’arcipelago della Maddalena per capire cosa intendiamo. Il regolamento non è chiarissimo ma per tutelare la riproduzione delle tartarughe è praticamente proibito l’ancoraggio in quasi tutta la baia, in alcune parti è vietata anche la navigazione a vela. La cosa curiosa è che l’oggetto della tutela dovrebbe essere la nidificazione di questi animali che come si sa avviene sotto la sabbia delle spiagge, dove però non è proibito allestire stabilimenti ricchi di ombrelloni. Ci prepariamo però ad essere ligi, dirigendoci davanti al borgo di Keri, unica parte dove è consentito l’ancoraggio, a rallentare l’andatura, vegliando a prua l’eventuale incrocio con l’animale coriaceo. 
Proprio all’entrata della baia, ci accorgiamo di un forte odore di plastica bruciata, pensiamo subito si tratti della nostra ventola del motore o di qualche altra parte e corriamo a verificare. No, non siamo noi e non è plastica bruciata, è petrolio. Il mare non è incredibilmente calmo, è semplicemente cosparso di petrolio. Bel parco, non c’è che dire, speriamo che le tartarughe abbiano scelto altrimenti quest’anno. Scopriamo poi da Tzanetos, ristoratore locale, che il petrolio non viene da un disastro ambientale o dai barconi vomita turisti ma dalla terra stessa. Questa zona è soggetta a continui piccoli terremoti e spesso dal fondo del mare, dopo una scossa fuoriesce il petrolio. Vuoi vedere che è proprio per questo che le tartarughe hanno deciso di nidificare qui? Hanno forse intuito che dove c’è petrolio c’è vita?

3 commenti:

  1. la descrizione dello sbarco dei dannati mi ricorda qualcosa di MOLTO familiare ... o sbaglio?

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  2. assolutamente sì, cara. Ma qui forse in proporzioni più gigantesche e più multietniche.

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  3. Dev'essere stato stupendo, tutte quelle spiaggette e grotte.. anche in Italia ci sono posti simili. Io sono un amante del mare e mi piace gironzolare con le pinne e potrebbe essere una metà da tener segnata.

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