sabato 10 dicembre 2011

Nuova tassa nautica. Andiamo, è tempo di migrare.


Amici naviganti, siamo sinceri, lo sapevamo. 
Noi che preferiamo stare in acqua che a terra, noi che sappiamo rinunciare alle macchine costose, che quando andiamo a cena fuori, preferiamo una taverna semplice a un ristorante elegante, noi che rinunciamo volentieri ad essere vestiti secondo le regole della moda, quasi persino ad essere vestiti, pur di mettere da parte quel che serve per una nuova vela. Noi, non potevamo non immaginarlo.
Di cosa parlo? È abbastanza ovvio ed è inevitabile parlarne. La nuova tassa di stazionamento, la nuova orribile dimostrazione che l’Italia, nonostante i suoi quasi 8.000 chilometri di costa, non è patria dei naviganti. Avevo il forte sospetto che, nonostante gli indubbi meriti e il (finalmente) dignitoso e rigoroso stile, un signore che porta addosso il nome Monti non poteva essere tanto solidale con noi delle distese azzurre. Forse i genitori tentarono di compensare e deviare il destino del piccolo Monti attribuendogli come nome di battesimo Mari(o), ma che dire? Non è servito allo scopo, evidentemente. 
La base del problema è un preconcetto ottuso: chi possiede una barca è, per forza di cose, una persona ricca. Più ricca di chi possiede un cavallo, un orologio d’oro, gioielli, quadri d’autore, più ricca addirittura di chi ha, come seconda casa, una bella villa a Capri. Nella concezione tutta italiana del benessere, la barca rientra nel più che superfluo, nel lusso, nell’ostentazione di uno stato sociale superiore. Chi possiede una barca va punito, vessato, ammonito. Colpa nostra, ragazzi, avremmo dovuto scegliere il camper. Fa traffico e inquina ma, evidentemente, fa meno benestante nell'immaginario collettivo.
La prima fuga di notizie, lunedì 5 dicembre, ci fece ringraziare il cielo di essere a bordo, volevamo indossare subito le cerate e mollare gli ormeggi. Via, velocemente, si torna in Grecia, tanto qui che ci stiamo a fare? Da quelle prime indicazioni, infatti, sembrava che P’acá y p’allá dovesse, povera, pagare ben 4.500 euro l’anno per stare in Italia. E avremmo dovuto anche essere grati alla fortuna perché, se fosse stata appena 45 cm più lunga, il dazio sarebbe salito a ben 15.000 euro. Il pensiero è corso subito ai tanti che, magari non hanno nemmeno una casa di proprietà, ma possiedono una barca di 15 metri degli anni 70 e che si sarebbero trovati a pagare di tassa annuale quasi quanto il valore dell’imbarcazione. Senza speranza poi, perché sembrava che, anche a tirarla in secco, si sarebbe dovuto pagare lo stesso importo.
Poi, il giorno dopo, i giornali del settore studiano il decreto e ci rassicurano tutti, comunicandoci che nelle carte c’è una sacrosanta differenziazione tra vela e motore, che sono previsti abbattimenti per vetustà, che quando la barca è a terra, la tassa non si paga. E, nel miglior stile dell’italiano che ormai si è abituato a tutto, per noi è quasi una festa. Ci ritroviamo, Giovanni ed io, quasi commossi, a festeggiare la “riduzione” della nostra tassa da 4.500 euro, stimati ieri, a 1.241 euro sulla base delle ultime tabelle. Quando stiamo per telefonare al professor Monti per dire “Grazie”, ci rendiamo conto della follia.
Non ci stanno riducendo una tassa, ci stanno, ancora una volta, trattando da cretini. Non bastavano i costi sproporzionati dei posti barca italiani, i marinai del bel Paese sono destinati a finire in bocca agli squali di un sistema erariale che non è capace di recuperare l'evasione dei furbi e i danni della politica.
Nel frattempo, dal decreto, sparisce il criterio di vetustà, sull’esonero nel rimessaggio a terra non vi è più certezza e torna l’ansia. Ma soprattutto, cosa ai limiti della commedia dell’arte, tocca fare il tifo per il Sen. Mauro Cutrufo, (cui, detto tra noi, non darei mai autorizzazione a salire a bordo di P’acá y p’allá) perché presenterà una proposta di emendamenti a tale tassa, cercando di renderla più ragionevole. Porca miseria, c’è solo lui? Uno in cui riconoscersi più facilmente, no? D’Alema, che stai facendo? Non potresti occupartene tu? 
Questa è la beffa più intollerabile, una sorta di sotterranea insinuazione che la barca non sia compatibile con l’essere una persona democratica e di sinistra. Andateglielo a dire a P’acá y p’allá e vedrete come si ingavona bene per farvi cadere in mare. Che fine ha fatto la libertà? Non quella del popolo di Forza Italia, quella vera, quella del libero arbitrio, della possibilità di scelta? Noi vogliamo essere di sinistra, pagare il giusto importo di tasse (tié, pure qualcosa in più per dare un piccolo contributo di compensazione per quelli che ci tengono tanto ad evadere) e andarcene in giro per i mari con la nostra barca a vela. Che è molto più bella di una Ferrari, di una Porsche o di un aereo privato ma non è certo dimostrazione di grande ricchezza, semmai di 20 anni di gioiosi sacrifici nell’attesa di conoscerla.
Ma siamo positivi! Vediamola come un’invito, questa tassa. O meglio, come una conferma. A primavera torniamo a casa, per mare, in acque meno ostili.