martedì 24 luglio 2012

Kythnos. Bentornati in Egeo.

“Bentornati, stronzetti! Ve la siete presa comoda eh? Che pensavate che mi ero fatto commissariare dalla Merkel?”. Così ci accoglie il Meltemi. Lui che ogni mattina si alza, continua ad alzarsi e il giorno dopo ancora di più. E non scende mai. Lui al cui confronto lo Spread è un novellino con manie di grandezza. E arriva a sorpresa questo eroe ellenico, come sempre per fare un dispetto. Tutto tranquillo al marina di Alimos, usciamo e constatiamo felicemente che il nostro motore funziona bene, mi sarebbe davvero seccato di ricredermi su Manolis. 
Mettiamo su la randa e fiocco e constatando una brezza 10 nodi da sud, Giovanni fa l’errore che fa sempre. “Aho, ma il meltemi?”. Ecco appunto. Io che lo so, invece, non apro bocca. Mi limito a pensare guardando Capo Sounion che questo punto focale, leggendario per l’incattivirsi dei venti, visto oggi sembra una punta qualsiasi del tirreno centrale in un giorno di bonaccia. Ecco, appunto. Anche solo pensarle, certe cose, chiamano vendetta. Il “Bentornati, stronzetti” ci raggiunge appena superato Capo Sounion. Eolo gira a nord, si trasforma in Meltemi. Se il vento avesse un colore, il meltemi sarebbe verde, come l’incredibile Hulk, potete scommetterci.
Bene, una cosa l’abbiamo imparata lo scorso anno. 
La prima mano di terzaroli va presa subito appena il Meltemi si conclama, ovvero prima che abbia finito di dire "Bentornati". Tanto sai che è solo questione di tempo per prendere la seconda, no? A rischio di sembrarvi poco sportiva, io sono sempre quella che propende per prendere la coppiola di mani di terzaroli fin da subito. È che lo conosco, il ragazzo, lo so che quando si sveglia e inizia a superare i 20 nodi, poi fino a 35 non si accontenta. Propendo, ma perdo. Pare sia usanza che le mani di terzaroli vadano prese una alla volta, quasi che sia un rito, un percorso sacrificale. E quello, il bastardo (il meltemi, non Giovanni), se la ride. Se la ride dei miei lividi, che soprattutto grazie a lui, puntano a superare in termini assoluti il numero di isole greche presenti in Egeo.
Dicevamo, Capo Sounion. 
Se il Meltemi mi avesse lasciato terminare il mio pensiero, mi sarebbe piaciuto rendere omaggio a Egeo, da cui questo bellissimo mare prese nome. Egeo, papà di Teseo, si gettò suicida in queste acque a causa di un malinteso con il suo figliolo. Per meglio dire, per colpa della distrazione del suo figliolo. Vero è che il povero Teseo era dovuto andare a sconfiggere il Minotauro, seminare l’esercito di Minosse… Per non parlare del liberarsi poi di quella piattola di Arianna (che fu lasciata a Nasso, da cui il famoso detto “piantata in Nasso” e non, come credono tutti, “in Asso”…). Insomma erano stati giorni difficili, non v’è dubbio, ma dimenticarsi del patto con il padre di cambiare le vele da nere a bianche per dare il segnale di essere vivo e vincitore, non è stato un gran bel gesto, considerate le nefaste conseguenze. Ovviamente che fa Teseo? Dà la colpa a Arianna. E ti pareva… Forse si nota, Teseo non mi è mai stato simpatico, facevo il tifo per il Minotauro, io.
Così, gentilmente sospinti, abbandoniamo subito l’invernale dubbio, covato dentro le mura domestiche, sulla rotta da percorrere. Tagliamo l’Egeo in diagonale a favore di vento o tentiamo la risalita verso la Calcidica? La prima che ho detto, senza dubbio. Tutto ciò che è a nord di Capo Sounion, sembra richiedere una partenza più intelligente, con passaggio da queste parti prima del mese di giugno. Ecco quindi che cominciamo a dare una forma alla nostra rotta che quest’anno, come potete vedere in mappa, avrà la forma di un 8, o meglio di un ∞, il bellissimo segno dell’infinito. Una rotta furba e un po’ vile, che gira le spalle al bastardo che soffia, offrendogli appena un tre quarti di lombo, tanto per smettere di farsi sputare in faccia. Risalire si dovrà, ma meglio farlo a ridosso della Turchia, dove tende a smorzarsi e a diventare quasi umano. Ecco, l’ho detto. Vuoi vedere che quest’anno si organizza?
Scivoliamo molto velocemente lungo le coste di Kea (chiamata Tzia dai locali, come a far pensare ad una zia un po’ arcigna e malevola). La tzia con il suo sottovento più maligno ci convince a guadagnare la seconda mano di terzaroli per queste ultime 6 miglia che ci dividono da Kythnos, nostro punto di arrivo del giorno e prima delle isole Cicladi che toccheremo quest’anno. Siamo sulla rotta dei traghetti che dal Pireo vanno verso Patmos, grandi navi ci passano vicino e ci superano con la loro imbattibile velocità. 
Kythnos si avvicina, brulla e selvaggia, con le sue rocce rosse e la sua macchia bassa.Troviamo riparo nella sicurissima baia di Fykiada dove un piccolo promontorio legato a terra da un tombolo di sabbia crea uno scenario bellissimo dal confortante perimetro lacustre. 
Il giorno dopo, snobbiamo il porticciolo di Merikha particolarmente soggetto a risacca e conseguentemente diciamo alla Chora di Kythnos che sarà per un’altra volta, tanto torniamo. Quest’isola ci ricorda in qualche modo Agathonissi, molto distante da qui, situata all’apice del Dodecaneso. La roccia, le baie protette, il colore del mare. Non solo. Anche la scarsa densità di barche. Siamo a una ventina di miglia dal Pireo, nella seconda metà di luglio e ti ancori in baie quasi deserte. Lo so qual è il segreto della Grecia, tante isole, tante baie, tanti ridossi: le barche ci sono ma si sparpagliano. 
La terra da mare è sempre accessibile e facilmente. Mario (sempre Monti) se vuoi risollevare le sorti italiane, fai un miracolo e riempi di isole i nostri mari, poi concedi le licenze ai ristoranti sul mare, fagli fare qualche moletto, fagli mettere due corpi morti ogni tanto, butta a mare quella cartaccia complicata dei parchi marini che è fatta coi piedi e si vede, per esempio alla Maddalena. Roba così, Mario. Si chiama "turismo nautico" ed è quello che fa sorridere i Greci. E soprattutto fa sorridere noi italiani che preferiamo navigare in Grecia. Vabbé, lo so che lo faresti, è che hai le mani legate. Torniamo a Kythnos, tu intanto fatti venire un’idea per moltiplicare le isole che mi sembra la cosa più complicata, il resto, volendo, si può fare.
Risaliamo la costa est dell’isola e ci sistemiamo all’ancora nella baia di Ag. Ioannis, monopolizzando l’unica chiazza di sabbia pulita sott’acqua dell’intera cala. Per i profani, le chiazze di sabbia in acqua, specie in giornate rafficate come questa, sono l’equivalente del parcheggio auto all’ombra a Roma a metà luglio: qualcosa da non perdere. L’ancora, infatti, ama la sabbia dove letteralmente sprofonda, aiutata dalle forti raffiche che, spingendo la barca, la mettono in tensione. 
In quelle condizioni è impossibile ancorare sugli scogli, la tensione cui sarebbe sottoposta la catena è troppo forte e ancorare su fondi poco puliti, macchiati da alghe rischia di provocare antipatiche sorprese, un po’ come tenersi aggrappati ai capelli di qualcuno, a parte gli strilli e gli improperi, dopo un po’, si sa, si spezzano.
Chi arriva dopo il monopolista della chiazza di sabbia è destinato a tentare l’ancoraggio più e più volte per rassegnarsi alla fine ad aggiungere all’ancora delle cime da fissare a terra. Un’operazione laboriosa e spesso la soluzione meno ideale in caso di raffiche contrapposte. È questo il caso di un professionalissimo 60 piedi battente bandiera di Jersey (n.b. porto franco) con armatore non nativo dell'isola della Manica ma della verde Svizzera, che dedica in due giorni almeno 6 o 7 ore a questa manovra di ancoraggio. 
Dotato di equipaggio numeroso e tender con ecoscandaglio in avanscoperta, è un piacere vederlo all’opera. Loro ci odiano sicuramente, per buona metà delle ore di manovra, penso che si augurino di vederci tirare su l’ancora e andare via, per prendere possesso della nostra, ormai decisamente nostra, esclusiva chiazza di sabbia. La loro barca è più grande della nostra, decisamente. Secondo loro sarà anche più bella, io direi invece no, ma è difficile da sostenere. Diciamo comunque che con la sua barca delle nostre ne puoi comprare una decina. Per l’assioma “Più ricco = più privilegi”, asse portante dell’insegnamento nelle scuole di tutto il mondo, i signori del 60 hanno l’aria di pensare che la nostra chiazza di sabbia, gli spetti di diritto. E invece no, la sabbia è democratica. La sabbia greca anche di più. Fossimo stati sul punto di andare via, saremmo rimasti. Insana invidia per quei 15 piedi in più? No, solo il Meltemi che contagia e rende un po’ dispettosi.

1 commento:

  1. confermo: le mani di terzaroli si prendono una alla volta... nel frattempo "giochi" con il carello della randa...
    buon vento
    Giorgio

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