sabato 20 settembre 2014

Andros. L'isola di pasta cresciuta.

La Chora di Andros, vista dal mare.
In primo piano i resti della fortezza veneziana
Ci sta stretta, Andros, nel posto che le hanno assegnato gli dei. Forse in origine era più piccina, con abbondante mare intorno, poi per farsi notare è lievitata come un panetto di pasta cresciuta. Ed ecco che oggi è famosa soprattutto per essere l'altra sponda dell'Eubea, al di là del luogo più temibile per i naviganti: il famigerato Stretto di Kafireas o Stretto di Doro. 
Un braccio di mare di sole 6 miglia da cui quasi tutti si tengono alla larga più che volentieri. La storia narra di terribili tempeste che hanno sollevato onde di quasi 10 metri, una valvola di sfogo di Poseidone dove abbondano i suoi eccessi. Noi, questo stretto, lo abbiamo passato l'anno scorso nel verso peggiore, quello da sud verso nord. 
Gatto e sedie in postura da fine stagione.
Detto così sembra eroico, ma detesto gli eroismi e non posso che confessare che abbiamo trovato un modesto forza 3/4 in un giorno che altrove, in tutto l'Egeo, registrava eccezionalmente un forza 0. Altrimenti io personalmente non sarei stata lì. Giovanni forse, io sicuramente no. 
Le imprese ardite non mi appartengono e con le sfide ho fatto pace anni fa. Oggi i traguardi mi sembrano, sempre più spesso, fanatismi e vedo ogni giorno che le imprese compiute fanno male all'indole degli esseri umani. 
Al faro di Ak Ghria, sul versante settentrionale dell'isola
Tante di queste persone ne perdo per strada: le seguo e le ammiro ai loro esordi, quando hanno ancora quell'umiltà negli occhi e nel cuore che diventa sincerità di racconto, poi la stima degli altri così generosi nel regalare il consenso (grazie al cielo) fa leva sulla debolezza umana e trasforma l'umiltà in autocompiacenza, la sincerità in artificioso bisogno di stupire. Il consenso è per i piccoli eroi moderni come una droga che avvelena la meraviglia e illude il protagonista di saper domare gli elementi. Ecco che invece di guardare l'altro da sé, guardano se stessi nel contesto e, via via, aumenta la perigliosità dell'impresa raccontata rispetto a quella realmente vissuta. 
Ogni volta per me è un lutto, faccio disperatamente il tifo per l'uomo e combatto l'eroe,  il risultato, però, è inesorabile: non si scende dall'Olimpo spontaneamente, a meno che non ci si giochi a viverci dentro, ma per far questo devi avere una dote particolare, piccola e che apparentemente non ti porta da nessuna parte: l'autoironia.
Cielo d'autunno a Andros
L'autocompiacenza è una malattia che può colpire chiunque tenti di esprimere se stesso al prossimo. Con l'arte, la scrittura, la musica…..
È la mia grande paura. Tento costantemente di autovaccinarmi da questo male che trovo odioso ed è un lavoro a tempo pieno.
Cerco di farmi detestare nel momento esatto in  cui mi accorgo che, spontaneamente, sto cercando di farmi amare. Tanto per restare in quel limbo di approvazione/disapprovazione che mi conserva consapevole di quanto sono poca cosa e mi fa restare coi piedi saldamente appoggiati su una nuvola.
Ma questa divagazione di pensiero, con Andros non c'entra assolutamente nulla. 
Dal lungomare, la Chora di Andros
Succede, quando racconto dei posti che ho visto a distanza di giorni. Succede soprattutto in questa stagione, quando la luce diminuisce, quando i colori diventano più belli e meno violenti, quando soprattutto si avvicina per me il momento di lasciare l'Egeo e di intraprendere il lento navigare verso casa. 
Si chiama malinconia e fa parte di me da quando sono nata, talmente tanto parte di me che a volte non la saluto nemmeno. 
Pescatore nello Steno Disvaton
Dall'altra parte di Andros, nella sua punta orientale, c'è un'altro ridottissimo braccio di mare, lo Steno Disvaton che la divide da Tinos. Erroneamente, guardando la carta lo si può interpretare come lo stretto peggiore nel passaggio da nord a sud dell'Egeo. L'esperienza invece ci dice che, escluso il malefico stretto di Doro, il peggior buco da cui scendere (risalire è per gli eroi) è quello tra Tinos e Mykonos.
Tramonto su Andros da Tinos.
Ma oggi è altra storia. In questa strana annata con il Meltemi in sciopero, riusciamo a scorrere la costa sud  di Tinos senza essere investiti da raffiche violente, scopriamo diverse rade sicure, protette e spettacolari di quest'isola e risaliamo lo Steno Disvaton diretti al Kastro di Andros sul, di solito impossibile, versante nord dell'Isola. Cambiamo mare di nuovo e mettiamo la chiglia nel Nord Egeo. Tutto ciò che facciamo in questa stagione ha, di volta in volta, il sapore malinconico di avvicinamento al ritorno o ribelle di allontanamento. La prua a Nord, con tante miglia da fare verso sud ci dà quell'ebbrezza del negare la realtà che è  vitale e corroborante. 
La bella cittadella di Andros abbraccia un promontorio e finisce con un ponte a schiena d'asino in pietra che porta all'estremo lembo, dove ci sono le rovine di un forte veneziano. 
P'acá y p'allá al marina di Kastro
Il cosiddetto marina di Kastro offre un ottimo ridosso, difficile capire dove ormeggiare quando un porto è praticamente vuoto. All'interno del molo frangiflutti, proprio al centro, c'è un motor yacht di lusso lungo una cinquantina di metri dall'altisonante nome di Ispiration. A bordo solo marinai, probabilmente di stanza qui, in questo porto senza costi di ormeggio, fino a quando l'armatore non gli dice dove andarlo a prendere. Anche i ricchi risparmiano, anzi, forse soprattutto loro.
Scorcio del vecchio porto a Kastro, sullo sfondo il forte veneziano
Evitando il confronto col mastodontico e scegliendo meglio secondo la direzione del vento, noi preferiamo prenderci un posto al pontile di cemento dove c'è solo una barca da pesca. Troviamo anche un corpo morto da aggiungere all'ancora che abbiamo gettato e guadagniamo quel lusso fondamentale per ogni armatore: lasciare la barca all'ormeggio senza voltarsi continuamente indietro, senza il timore che l'ancora spedi e che la poppa finisca in banchina.  Sembra poca cosa ma il corpo morto, che non ha nulla a che vedere con l'omicidio, può dare felicità allo stato puro. 
La Chora di Andros è lì davanti a noi, a una ventina di minuti a piedi lungo la spiaggia. Camminiamo con la leggerezza di quando sappiamo che potremo limitarci a passeggiare nel borgo, senza la voglia di affittare un motorino per andare a vedere l'altro versante. Il vento ci regala ad Andros l'opportunità di scorrere tutta la costa dell'isola. 
La grande statua in bronzo del marinaio ignoto, dono dell'Unione sovietica
e collocata nel luogo dei bombardamenti tedeschi della II Guerra.
In questa stagione che volge verso l'inverno, le grandi isole sono confortanti. C'è più vita tra i vicoli delle cittadine rispetto ai borghi minuscoli di una piccola isola. Qui l'estate è una stagione, poi passa ma non si porta via nulla. Resta la vita dell'isola, i pescatori continuano  a uscire la notte per procurare da mangiare a se stessi e agli abitanti, le taverne e i bar sono pieni di ragazzi del luogo. Andros è molto diversa dalle classiche Cicladi, la sua architettura è prevalentemente fatta di edifici neoclassici con tetti dalle tegole rosse. Come a Tinos, vediamo molte colombaie, antiche torri oggi per lo più adibite a abitazione. 
L'Hermes di Andros
Visitiamo tre musei. Quello archeologico dove,  oltre ai resti provenienti da Zagorà e dall'antica Paleopoli,  si trova una bellissima statua di Hermes, opera del IV secolo di Prassitele, che da solo meriterebbe un museo.  Poi, il museo di arte moderna che ospita al momento le opere della scultrice e pittrice contemporanea Sofia Vari, un'allieva di Botero. Degli Chagall e dei Picasso di cui parla la guida come esposizione permanenti non c'è traccia e la Vari da sola, sinceramente, non vale un museo. Ma sono piuttosto fredda verso l'arte contemporanea, sarà colpa mia. L'ultimo è il museo marittimo con modellini di navi e qualche strumento antico ma la cosa più bella è la vista dalla terrazza sulle rovine del forte veneziano e sul mare.
Ci facciamo fermare dalla scritta "members only" davanti al bello e storico yacht club di Chora, senza entrare a curiosare come vorremmo, forse dimentichi che in stagione così bassa, magari anche i non soci sono ben accetti.
Il museo marittimo di Chora
Salpiamo di nuovo, continuando a risalire il versante nord di Andros fino al momento in cui il Meltemi non si alza e ci fa capire che oltre alla baia di Achlia, non è il caso che tentiamo di andare. Lo stretto di Doro, stavolta non si passa, neanche in direzione favorevole.
Questa bella baia, semicircolare e sormontata da un faro,  si trova proprio alla fine di un canyon tra due pareti rocciose che attraversano l'isola da nord a sud. Una strada sterrata permette a qualche fuoristrada di arrivare sulla spiaggia e così non siamo totalmente soli.
All'ancora nella bella e parzialmente protetta baia di Achlia
Ma Andros continua a riservarci sorprese e piacevoli incontri. Sulla costa meridionale (che, in realtà, data la posizione diagonale dell'isola, sarebbe altrettanto o forse più  corretto definire occidentale) c'è la possibilità di fermarsi quasi ovunque grazie all'abbondanza di fondali sabbiosi e di ridossi. Siamo in rada a Paleopoli quando leggo un messaggio di Peter che è con il suo X40 e 3 amici a Batsì, piccolo porto qualche miglia più a nord ovest. 
La Chora di Andros, abbarbicata su un promontorio
Bello incontrarsi così, in mezzo all'Egeo, soprattutto fuori stagione con chi era finora solo una conoscenza virtuale, nata su forum nautici e per interessi comuni. Ci aiutano a ormeggiarci all'inglese e ci offrono un ottimo pranzo preparato da Peter stesso. Noi ricambiamo con la miglior merce di scambio che abbiamo a questo punto: la conoscenza delle isole greche. Li indirizziamo a Tinos, certi che non ne resteranno delusi.
Abbiamo fame di incontri quest'anno, ne abbiamo fatti pochi, meno che negli anni precedenti. E non abbiamo avuto ospiti a bordo. Una mezza mattinata di chiacchiere è come un bicchiere d'acqua fresca alla fine di una salita.
Ormeggiati a Batsì
Poi loro scappano via, il calendario non gli consente soste prolungate. Il calendario, la voglia di mare, il bisogno di metterne tanto dentro una decina di giorni.
Noi invece restiamo qui, comodi nel nostro posto all'inglese, all'interno del molo frangiflutti. Il posto migliore. 
Man mano che il vento aumenta, entrano in porto alcune barche che si ormeggiano all'esterno del molo, son quasi tutte barche charter, per lo più occupate da tedeschi e francesi. È un fenomeno buffo quello del charter, perché stando fermi nello stesso posto puoi trovarti in un andirivieni di barche un giorno e nel deserto il giorno dopo. Anche se non si tratta di flottiglie, come in questo caso, sono tutti figli delle stesse compagnie di noleggio che imbarcano lo stesso giorno della settimana e suggeriscono a tutti lo stesso itinerario. Oggi è il giorno di Batsì e abbiamo un bel po' da fare sul molo ad aiutare per l'ormeggio.
L'arrivo dei giapponesi
Per ultimi, verso il tramonto di un giorno freddo, arriva un equipaggio di giapponesi. Il fiocco è a brandelli, irrecuperabile, e urla contro il vento i suoi ultimi momenti di gloria. I 10 dell'equipaggio hanno negli occhi il racconto della brutta avventura. Faticano a ormeggiarsi e rischiano di far danni, facendo un errore dopo l'altro, tipico in parte della scarsa esperienza e in parte dello shock appena vissuto. Non capirò mai perché in queste condizioni, di esperienza e di shock, insistano tutti per mettersi in banchina, quando la soluzione migliore sarebbe gettare l'ancora nella baia e riprendersi con calma prima di affrontare nuovi pericoli. 
Charteristi si danno una mano: uno strano modo di fissare una cima...
un tiro alla fune, snobbando le bitte.
Ma quel rischio, loro, non lo leggono, e invece il rischio peggiore in mare è sempre rappresentato dalla terra. Forse perché la barca non è loro, ma solo in affitto, forse per la scarsa confidenza con un mezzo a cui hai affidato la tua vita e da cui vuoi prendere istintivamente le distanze. Il pericolo per loro era fuori, dentro ai 35 nodi da Mikonos a qui, quando la terra era lontana. 
Gli errori sono i soliti: cime di poppa lanciate aggrovigliate e imbrigliate su pulpiti, candelieri e asta della bandiera; ancora che viene ferrata nel momento sbagliato e la barca si traversa, cose così. 
Il molo di Batsì
Ma stavolta non so se questa maldestria sia figlia di incapacità o semplicemente di terrore. Quel che è certo è che a bordo non c'è arroganza. Lo skipper ringrazia per l'aiuto facendo un simpatico inchino. Indica la vela di prua, o quel che resta della vela di prua, spiegando che gli si è incaramellato mentre lo rollavano, poi si è rotta la bugna ed è rimasto strozzato così, polverizzandosi via via. Conclude dicendo, con un sorriso "è una vela cinese, probabilmente".
Per una volta, vorrei spezzare una lancia a favore dei vituperati charteristi. Perché, in fondo, che l'Egeo sia un mare duro lo vedono e lo vivono molto più di noi. 
La baia di Achlia vista dal faro.
Come ho detto più volte, l'Egeo non è affatto più difficile di altri mari, il meltemi è sì spietato e più insistente di un mistràl ma è anche molto più prevedibile. L'enorme arcipelago di isole in questo mare, consente di avere sempre una terra a poca distanza e comunque mai a più di 50 miglia. Le infinite e economiche possibilità di ormeggio in Grecia ti consentono soste prolungate in porto a costo 0 e infine, l'assenza di una norma idiota come il divieto di cime a terra o i limiti di ancoraggio dalla costa vigenti in Italia, ti offre ulteriore sicurezza quando sei in rada.
Sulla spiaggia d'autunno
Ma la serenità dipende da due piccoli particolari: il tempo a disposizione e la capacità di non affezionarsi a un programma o a una rotta precisi.
Queste due cose, noi le abbiamo. La prima ce la siamo guadagnata, la seconda fa parte della nostra anima e del nostro carattere.
Pensiamo invece ai charteristi, categoria nei confronti della quale - tolto questo momento di generosa lucidità - provo un molto generalizzato distacco. 
L'incantevole località di Batsì
Arrivano in Egeo per la loro vacanza di 1 o 2 settimane, hanno studiato per mesi la rotta su carte e portolani diventando a tutti gli effetti "navigatori di carta", hanno analizzato pilot chart e statistiche meteo, poi sono arrivati qui e hanno visto la realtà. Vaglielo a dire ora che il meltemi quando insiste non smette mai, che anche se è un vento settentrionale non ha nulla a che fare con il nostro grecale, maestrale o tramontana. Che i grib non servono a molto con i fenomeni locali e che qui è tutto un fenomeno locale. Che il vento non cala di notte e quando abbassa un po' la voce è tra le 3 e le 6 di mattina ma poi, senza preavviso, magari rinforza in 5 minuti e recupera le ore perse. Vaglielo a dire ora che hanno già buttato giù la rotta,  hanno messo 6 o 7 isole nella loro vacanza e per ogni cambiamento di programma ci sono 10 teste che devono essere d'accordo.
Polpi appesi a Batsì
Li vedo arrivare con 24 ore di ritardo e ripartire con 24 ore di anticipo rispetto a quanto dovrebbero, d'altra parte i giorni scorrono e il calendario non si ferma. La spada di Damocle della consegna del venerdì è inesorabile e se il porto di destinazione è a nord, c'è poco da fare, gli tocca una bella e dura bolina. In più, possono essere bravi quanto vogliamo - e raramente lo sono - ma c'è una protagonista assoluta, la barca, che è per loro niente di più di un'amante occasionale: non ne conoscono abitudini, storia e stato generale di salute, non le vogliono bene e quel che è certo è che lei non ne vuole loro.
Insomma, dura la vita qui per quelli che "il tempo è denaro", questo è un mare che vuole il tuo tempo e quando glielo dai, allora si fida di te e te lo restituisce con gli interessi.
Salutiamo così una mezza dozzina di charteristi che in un paio di giorni vanno e vengono dal molo di Batsì. Noi ci fermiamo, a elaborare il lutto dell'estate che sta finendo, a guardare la strada che abbiamo percorso e quella che abbiamo davanti nel tempo che ci vorrà, senza prendere impegni.
Su per le montagne a Andros, uno scorcio sul versante Nord
Dato l'ormeggio solido, ci prendiamo un'auto a noleggio e attraversiamo Andros. Dopo una visita al porto di Gavrio, altro ormeggio e cittadina di scalo dei traghetti, ci inoltriamo all'interno lungo una strada che è un rosario di piccoli e gradevoli villaggi. Contiamo centinaia di chiese, mentre la strada si inerpica velocemente su un percorso montano, sentiamo il primo vero freddo, vediamo la nebbia e la nuvola nera che avvolgono le cime di questa terra rossa e verde, selvaggia e cruda. Come a Tinos, restiamo affascinati dalle cicatrici sulla terra fatte di strani muretti a secco per delimitare i possedimenti. Un lavoro faticoso e lunghissimo, un disegno unico e particolare: oltre alle classiche pietre piatte posizionate una sull'altra, ci sono interruzioni geometriche con grandi lastre posizionate in diagonale e in verticale. Un effetto artistico che deve avere però sicuramente anche una motivazione pratica, forse risparmiare le pietre e ore di lavoro. Quando il bello incontra l'efficienza, direi. 
Al Monastero di Ag Nicholaos
La roccia lascia il posto a veri e propri boschi, la terra diventa verde scuro e l'isola è ricca di sorgenti e cascate. Come cambia il panorama quando ti lasci il mare alle spalle e quanto è bella la terra quando resta selvaggia e quando è da un po' che ne vedi poca. Peccato non aver preso un fuoristrada perché molte sono le strade sterrate e impossibili da percorrere con una piccola utilitaria. Ma una giornata sola comunque non sarebbe bastata, è appena sufficiente per la rete asfaltata. 
Il monastero di Agios Nicholaos
Il monastero di Agios Nicholaos, costruito sui resti di una chiesa bizantina, è spazzato dal vento ma questo non impedisce all'unico monaco presente di passare una scopa di saggina su tutti i pavimenti esterni, togliendo e ritogliendo foglie, polvere, piccole pigne di cipresso in una danza solidale tra un vento e un uomo che si conoscono bene e che non si fanno la guerra. Il monaco mi invita a indossare una lunga gonna e ci accompagna a vedere la chiesa, ricca di icone e scura, opulenta, pesante come tutte le chiese bizantine in Grecia.
I particolari muretti a secco di Andros
Restituisco a malincuore la gonna di un raso cangiante sui toni del viola e riprendiamo la strada. Vediamo la baia di Achlia dall'alto, oggi poco protetta, poi proseguiamo verso Batsì fallendo il tentativo di visitare le rovine di Zagorà e il museo dell'antica Paleopoli, entrambi aprono un solo giorno alla settimana.
Torniamo in porto e siamo soli di nuovo, oggi non è giornata di Batsì sugli itinerari di charter.
La piccola e vivace ma indolente località di Batsì abbraccia una baia semicircolare. Gli abitanti sono calorosi e accoglienti, come in tutta Andros, in realtà come in tutta la Grecia, forse qui un briciolo di più.
L'ormeggiatore di Batsì, Iannis, (al centro)
gioca a backgammon con gli amici
Per cena, seguiamo il consiglio di Peter e andiamo alla taverna "Ta Delfinia" (i delfini), gestita da un greco e da un'austriaca. L'asticella della soddisfazione si sposta verso l'alto, questa coppia ha il dono dell'accoglienza, te ne accorgi da piccole cose. Lei, una signora di classe, si interessa di noi, di quel che facciamo e ci fa domande per capire se in qualche modo potrà esserci utile. Ci tiene a distinguersi dal ristoratore tipico del luogo, si vede, ma senza arroganza e senza giudizio. Lui mi stupisce: quando ordiniamo 4 piatti tra mezedes e piatti principali (una quantità normalmente giusta per chi come noi non mangia molto) ci dice che forse è un po' abbondante e ci invita a fermarci prima. Aveva perfettamente ragione, in Grecia è molto difficile capire la quantità che arriverà a tavola: un antipasto come i dolmadakia (piccoli involtini di riso, carne e spezie in foglie di vite) può consistere in un piattino con 5 piccoli esemplari o in un piatto di portata con una dozzina degli stessi serviti con tzatziki o salsa di formaggio. Qualche volta il prezzo aiuta a capire, più spesso no. 
alle sorgenti di Sariza
Mi commuovo assaggiando il miglior melitzana imam di quest'anno. E' il mio piatto greco preferito: una semplice teglia di melanzane, cipolla, pomodoro e erbe varie cotti in forno ma la bontà di questo piatto è direttamente proporzionale al tempo di cottura e in questo caso, il tempo è stato sicuramente generoso. 
"Sulle ricette, il capo è sempre mia madre" mi dice il ristoratore, lanciando una veloce occhiata alla moglie austriaca per non farsi sentire. "Ha 84 anni ma non consente nessuna innovazione sulle ricette tradizionali e l'imam lo fa ancora lei". Santa donna, finché la Grecia può contare su queste signore, non sarà mai davvero in crisi.

Andros è una bella nuova perla nel nostro rosario di Egeo, siamo felici di essere arrivati fin qui. 
Il faro alla Chora di Andros
Un'isola grande ma vera, autentica, a suo modo remota e solenne. Ha il carattere delle isole montagnose e il calore delle isole che vivono di tante cose, non solo di turismo. Ci dispiace andarcene e probabilmente anche qui ci torneremo. Ora riprendiamo la rotta verso sud anche se la via logica di casa sarebbe prendere a destra per il canale di Corinto, ma è ancora estate e son 2 anni che manchiamo da Milos e dal Peloponneso occidentale. C'è tempo per mettere prua a Ovest e ancora più tempo per decidere di lasciare l'Egeo. 

6 commenti:

  1. Leggere in questo principio d'autunno, che esista ancora un'estate vicino casa, è confortante soprattutto se raccontata da te in questo modo così leggero e piacevole, mai autocelebrativo, ma pieno d'amore per quelle terre e quei mari.

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    1. Grazie Fernando, mi fa piacere quello che scrivi. L'autocelebrazione è un tranello così facile in cui cadere e una attitudine così molesta che il pensiero di potervi incorrere mi atterrisce.

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  2. Francesca, leggerti è sempre un grande piacere, riesci a far sognare anche chi quei posti forse non li vedrà mai.
    Lo penso sempre anche se non sempre lo scrivo, continua così (ma attenzione ai punti cardinali, scrivendo di Andros hai confuso l' oriente con l' occidente :-) )

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    1. Grazie Adolfo, delle tue parole e dell'indicazione del refuso! Ho corretto l'inversione dei punti cardinali. È un errore frequente per me, deve essere una sorta di dislessia da orientamento.... Per fortuna, a bordo, la rotta la faccio io ;-)

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  3. è sempre un mix di malinconia, brividi e pelle d'oca il tuo racconto, impossibile farne a meno
    Bv

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  4. Tutto meraviglioso come sempre.
    Vicky

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