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giovedì 22 settembre 2016

Shelter, rifugio.

Ormos Panormos, Naxos.
Quando il meteo ti avvisa in anticipo di una botta di vento significativa, ti metti lì, carta e memoria alla mano a sceglierti un rifugio. Un luogo dove far passare la sfuriata, che tanto poi sarà meno cattiva e ti muoverai comunque, ma quando lo scegli ti immagini lì per diverse giornate, perché enfatizzi le previsioni, di solito già enfatizzate di loro. 
E allora ci sono rifugi e rifugi. 
I rifugi classici, quelli frequentati, citati dal portolano, chissà perché visti come una garanzia, quelli a portata di civiltà, con paesino-taverna-bar-minimarket a portata di tender si sa mai nel frattempo scoppiasse la guerra. 
Poi ci sono i porti che per me sono l'antitesi del rifugio, luoghi dove fare sosta quando il tempo è stabile e il vento in collusione col cielo non promette sorprese. Perché è vero che puoi ormeggiare in anticipo, dar fondo bene con l'ancora, controllarla, aggiungerne una seconda più corta se serve, controllarne la tenuta e garantirti una buona presa anche col vento al traverso di 30 nodi e passa. Ma è altrettanto vero che non hai la patria potestà su quello che deciderà di ormeggiarsi accanto a te quando le condizioni son diventate cattive, che sopravvaluterà la sua capacità di manovra e sottovaluterà la forza del vento al traverso.
Altro che rifugi, quando il meteo è cattivo, il porto può diventare una trappola e chi vive per mare sa che non è il mare il nemico ma la terra.
E poi ci sono i miei rifugi, quelli dove è più probabile non vada nessuno. Il portolano di solito non li cita o li descrive come "buon riparo dal vento dominante ma ambiente desolato e nessun servizio a terra."
Ed eccomi qui. Noi, qualche pescatore, 3 papere, una chiesetta e un bar stagionale ormai stanco.
E se scoppia la guerra, pazienza. Forse qui non me ne accorgo neppure.

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